Ardìto desìo

ardìto desìo

un progetto di Futura Tittaferrante e Ombretta Gamberale, a cura di Chiara Capodici e Andrea Lerda

‘Io sono una pietra. Lo ripeto: una pietra. So che non potete capirmi; dovrei spiegarvi queste quattro parole una per una e a gruppi di due e di tre e poi tutte insieme: cosa voglio dire quando dico io, e quando dico essere, e quando dico pietra, e cosa vuol dire essere pietra, e una, una pietra… forse in questo mondo di pietra non c’èun prima néun poi: il tempo delle pietre è concentrato nel nostro interno dove si addensano le ere…’

Testo scritto da Calvino per la mostra di Alberto Magnelli a Nizza del 1981

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La mostra ardito desìo nasce dall’incontro fra Ombretta Gamberale e Futura Tittaferrante nell’atto del camminare, una pratica al confine tra la performance e l’azione politica grazie alla quale ognuna ha trovato il proprio ambito di ricerca, per entrambe incentrato sulla relazione fra corpo e spazio e sulle trasformazioni che quest’ultimo apporta nel primo. L’incontro si approfondisce successivamente in un tema comune che le lega: la montagna e la sua materia.

Futura ha vissuto la montagna come esperienza fisica, l’ha attraversata, esplorata, toccata. Ombretta ha percepito la presenza della pietra e dei sedimenti della montagna nel proprio corpo come risultante visione di un’emozione. In due percorsi paralleli, una percorre la materia internamente nel vissuto del suo corpo, evidenziandone i movimenti tra sgretolamenti, cavità, segni, cambi di temperatura, l’altra percorre la materia in cui è immerso il proprio corpo, adattandolo lo stesso alla morfologia della montagna e scalando la roccia con gli occhi, evidenziando forme, dislivelli, tracce antropiche; quasi come un geologo ed un esploratore che dialogano procedendo a piccoli passi e con appuntamenti segnati da accostamenti, confronti e stratificazioni. Evidenziano armonie e incrinature attraverso strappi della carta e calcografie. Cercano elementi di rottura attraverso particolari e accostamenti.

Perdono il senso dell’orientamento, ma rimangono ancorate alla materia e ad un segno puntuale.

La mostra è accompagnata da una pubblicazione in tiratura limitata stampata in Risograph e rilegata da ziczic, Polignano a Mare.

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Da un punto di vista fisico, un corpo umano è una mescolanza di idrogeno, ossigeno, carbonio, azoto, calcio, fosforo e, naturalmente, acqua. Se osservato invece attraverso una prospettiva relazionale, appare come un insieme di processi simbiotici ai quali partecipano forme viventi “altre dall’umano”, quali batteri, funghi, virus, parassiti, microbi e molto altro ancora.

Alla luce di questa consapevolezza, sostenere che tra una persona, una montagna o una foresta non vi sia particolare differenza né stato di separazione, non è poi così lontano dalla realtà. Di certo ci aiuta a prendere coscienza del fatto che human e other than human sono parti del medesimo “maelstrom biologico”1 e che nel momento in cui attraversiamo un paesaggio – sia esso montano, marino, boschivo, e così a seguire – ne siamo al contempo attraversati, in una perenne esperienza di “risonanza”2 biologica e psicologica. Non è un caso che il sociologo tedesco Hartmut Rosa utilizzi questa parola per indicare una specifica forma di relazione nella quale due corpi, soggetto e Cosmo, si “toccano” in maniera reciproca e, stimolati a vibrare, si trasformano contemporaneamente. Essere in risonanza con il Mondo è una condizione che attiva un processo di metamorfosi lenta e intima, che ci depura dall’eccesso di materialità, stimoli e condizionamenti che popolano l’esistenza umana, per tornare a uno stato di pienezza e consapevolezza. Questo senso di fusione e il rimando alla filosofia dell’entanglement3 di cui scrive Alva Noë, sono aspetti che accomunano le ricerche di Ombretta Gamberale e Futura Tittaferrante. Le loro esperienze e le loro pratiche artistiche, restituiscono in modi differenti, ma estremamente sintonici, questo sentimento di partecipazione fisica ed emotiva nella relazione con la montagna.

I loro lavori, scaturiti da un dialogo che si è sviluppato nel corso del tempo, nascono dal confronto con l’universo montano e da “attraversamenti”, ora fisici, ora mentali. Nel caso di Futura Tittaferrante, stare-con- la-montagna è un’esigenza più corporea. Il cammino, l’alpinismo, l’arrampicata, sono modi per misurarsi con la materia, per sentire il proprio corpo, per fondersi e addentrarsi in tutto ciò che le sta attorno: pietre, licheni, alberi, neve, fiori, aria, erba. Questa esperienza, mai distaccata dal rapporto visivo ed estetico, la spinge ad espandere le proprie possibilità percettive, provando a sentire e a vedere com’è la realtà laddove le sue (e le nostre) capacità sensoriali solitamente non arrivano.

Nel caso di Ombretta Gamberale, la montagna, osservata ed esperita, diventa oggetto di un’indagine nella quale il ricordo visivo ed emotivo si traduce in una riproposizione e risignificazione delle sue forme. Mediante un esercizio di immaginazione, di astrazione e di memoria, l’artista restituisce le “sue” montagne e le “sue” pietre attraverso forme sintetiche,

come nate da un processo di raffinazione. I profili delle vette e le consistenze materiche sono però anche l’incontro tra l’esterno e l’interno, tra corpo Natura e corpo umano. Nel suo interesse per la matericità della montagna, l’attenzione alle scalfiture, alle fessure e ai segni della roccia, Gamberale rintraccia un’assonanza con la morfologia dell’anatomia umana.

La relazione con la montagna delle due artiste è dunque una pratica consapevole, che non ha solo a che fare con l’osservazione, con la contemplazione o con il rapporto corporale, bensì una pratica sinestetica, il tentativo di ampliare la comprensione delle cose e di esplorare l’esistenza oltre la dimensione del noto e del visibile. Le loro opere scaturiscono infatti dalla consapevolezza che non esiste una separazione tra il proprio corpo e l’alterità, tra il loro occhio e la pietra che stanno osservando. La montagna è per loro spazio, emozione, segno, matericità, energia in costante mutazione. Un corpo reale e al contempo immaginario, individuale e collettivo, che le artiste assimilano e successivamente sintetizzano all’interno di visioni frammentarie.

Sguardi per forza di cose incompleti, parziali e sfuggenti, ma scrupolosi nella loro intenzione di sottoporci sempre nuove occasioni per osservare e per riflettere sulle infinite connessioni con la materia. Al di là delle esperienze personali, delle fragilità e delle vicessitudini che le legano personalmente a questo luogo, ciò che più conta nella loro ricerca è la consapevolezza che dal contatto con la montagna – sia esso di natura fisica, terapeutica, performativa, esistenziale o metafisica – dipende il nostro grado di conoscenza della realtà. Le immagini che compongono questo progetto, sono dunque un racconto sintetico, nel quale parti di un tutto ci vengono presentate per ciò che realmente appaiono: piccoli frammenti di rocce; porzioni indecifrabili di paesaggi; fusioni di corpi minerali; stratificazioni di forze, vite, ere. Corpi vivi e vibranti tutti intorno a noi, che ci sollecitano a un modo risonante di stare-con-il-mondo.

Andrea Lerda